
La questione del salario minimo in Italia è complessa. A differenza di molti paesi europei, l’Italia non ha una legge specifica sul salario minimo. La responsabilità di definire lo stipendio minimo è affidata ai contratti collettivi nazionali di lavoro (CCNL). Questi accordi, negoziati tra sindacati e associazioni dei datori di lavoro, stabiliscono le condizioni salariali per diverse categorie lavorative.
Tuttavia, recenti decisioni della Corte di Cassazione hanno evidenziato che un giudice può non applicare il CCNL se lo stipendio previsto non garantisce al lavoratore un’esistenza dignitosa, come previsto dall’articolo 36 della Costituzione Italiana. Questo articolo stabilisce che ogni lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata al lavoro svolto e sufficiente per una vita dignitosa.
Le recenti sentenze della Corte di Cassazione
Alcune recenti sentenze hanno ribadito l’importanza dell’articolo 36. Ad esempio, le sentenze nn. 27711 e 27769 del 2 ottobre 2023, e nn. 28320, 28321, 28323 del 10 ottobre 2023, hanno affermato che, anche in presenza di un CCNL, spetta al giudice valutare l’adeguatezza del salario minimo. Questa valutazione dovrebbe basarsi su criteri costituzionali, tenendo conto del diritto del lavoratore a una vita dignitosa e non solo del limite della povertà.
Parametri di riferimento
Nel determinare se un salario è adeguato, la Corte ha suggerito diversi parametri di riferimento:
– La soglia di povertà assoluta, come determinato dall’Istat.
– L’importo dell’assegno di disoccupazione (Naspi).
– L’importo del Reddito di cittadinanza, ora abolito.
Questi parametri dovrebbero essere utilizzati come minimo, e i salari previsti dai CCNL non dovrebbero mai essere inferiori a tali importi. Se lo stipendio previsto da un CCNL è considerato inadeguato, il giudice può fare riferimento ai salari di altre categorie lavorative simili.
Direttiva UE 2022/2041
La direttiva dell’Unione Europea 2022/2041 ha sottolineato la necessità per gli Stati membri di garantire un salario che non solo soddisfi le necessità essenziali, ma che anche permetta ai lavoratori di partecipare a attività culturali, educative e sociali. Questa direttiva introduce ulteriori criteri, come il potere d’acquisto, per determinare un salario adeguato.
Ricorsi in Tribunale
Se un lavoratore ritiene che il proprio salario non sia adeguato, può chiedere un adeguamento al datore di lavoro. Se la richiesta viene respinta, può presentare un ricorso in tribunale entro 5 anni dalla fine del rapporto di lavoro.
In sintesi, mentre i CCNL in Italia forniscono una guida sul salario minimo, le recenti sentenze della Corte di Cassazione e le direttive dell’UE sottolineano l’importanza dell’articolo 36 della Costituzione. Pertanto, i lavoratori in Italia possono avere diritto a una retribuzione maggiore di quella prevista dal loro CCNL se ciò è necessario per garantire una vita dignitosa.